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Cicerone
De Natura Deorum, I, 34
 
originale
 
[34] Nec vero eius condiscipulus Xenocrates in hoc genere prudentior est, cuius in libris, qui sunt de natura deorum, nulla species divina describitur; deos enim octo esse dicit, quinque eos, qui in stellis vagis nominantur, unum, qui ex omnibus sideribus, quae infixa caelo sint, ex dispersis quasi membris simplex sit putandus deus, septimum solem adiungit octavamque lunam; qui, quo sensu beati esse possint, intellegi non potest. Ex eadem Platonis schola Ponticus Heraclides puerilibus fabulis refersit libros, et tamen modo mundum, tum mentem divinam esse putat, errantibus etiam stellis divinitatem tribuit sensuque deum privat et eius formam mutabilem esse vult, eodemque in libro rursus terram et caelum refert in deos.
 
traduzione
 
34. N? pi? perspicace si mostra il suo condiscepolo Senocrate: basti dire che in un suo trattato in pi? libri sulla natura degli d?i non ? reperibile una sola rappresentazione sensibile della natura divina. Si limita a fissare in otto il numero degli d?i, dei quali cinque trarrebbero il loro nome dai Pianeti, un sesto risulterebbe dall'insieme delle stelle fisse che verrebbero cosi a costituire le sparse membra di un unico corpo indivisibile, il settimo e l'ottavo, infine, andrebbero identificati, rispettivamente, coi sole e con la luna: ma non si vede come d?i siffatti possano provare una qualsiasi sensazione di piacere. Un altro discepolo di Platone, Eraclide Ponticos, a parte le sciocchezze puerili di cui ha infarcito i suoi libri, ondeggia fra una concezione tendente ad identificare la divinit? col mondo ed un'idea tutta spirituale di Dio. Ma non esita, in seguito, a ritenere divini i pianeti, a spogliare la divinit? di ogni facolt? percettiva e ad attribuirle un aspetto cangiante per poi annoverare di nuovo fra gli d?i, in quello stesso libro, il cielo e la terra.
 

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